giovedì 27 febbraio 2014

Tribe

Dario Yassa Trio

Music Center


C’è urgenza espressiva, una vena lirica a volte struggente, un ritmo percussivo coinvolgente e tanto altro nel pianismo di Dario Yassa, musicista italo-egiziano, protagonista in trio con  Mattia Magatelli al contrabbasso e  Riccardo Tosi alla batteria di questo cd. Una piacevole scoperta quella del pianista che ha studiato alla Manhattan School di New York con Barry Harris e Mike Abene e che vanta un’intensa attività concertistica che lo ha visto e lo vede protagonista in teatri, jazz club e festival, dove rivela un esclusivo talento e una sopraffina sensibilità musicale, doti che  si evidenziano anche all’ascolto di questo Tribe. Un’interpretazione del piano trio in ambito  jazz sicuramente riuscitissima, anche grazie alla presenza opportuna del binomio Magatelli-Tosi che sembrano  perfettamente integrati nell’orbita musicale di Yassa fino a risultarne parte attiva e non semplici gregari.  Molti gli elementi  fondanti nel layout espressivo del musicista italo-egiziano che si aggiungono a quelli già citati in apertura di questa recensione, come ad esempio la capacità di dialogare in stretta simbiosi con i suoi musicisti, il tocco netto, il passo felino nei cambi di tempo e nelle fughe in avanti, l’ampia e variegata dialettica nelle parti improvvisate. Tutti elementi che si dispiegano all’ascolto delle otto selezioni contenute nel cd già dall’iniziale “Rain Maker” dal ritmo fluido e caratterizzata da un tema accattivante e lirico. E poi “Doroty” pulsante e suadente, con un pregevole dialogo tra pianoforte e contrabbasso cesellato con delicatezza dal drumming di Tosi e ancora “Propitiatory Dance” velata di ritmo latino.  Si prosegue con il passo da ballad di “Lively Squirrel” densa di umori introspettivi e con la struttura  variegata  della contrappuntistica  “Tribal” . Ebbene! questa è una produzione discografica di rilievo, fresca di stampa, perché appena pubblicata lo scorso 13 febbraio e meritevole di essere apprezzata perché rappresenta un soffio di vitalità, nell’universo jazz italiano, troppo spesso inflazionato da mediocri produzioni.


mercoledì 26 febbraio 2014

Decay

Natura Morta

Fmr

Dopo l’americana Prom Night Records è l’etichetta britannica FMR Records  a dare visibilità al trio Natura Morta che ha base a Brooklyn, New York ed è composto dal batterista italiano Carlo Costa, da anni ormai trapiantato in quella parte del mondo, dal violinista francese Frantz Loriot e dal contrabbassista, compositore e improvvisatore, Sean Ali, originario di Dayton  nell’Ohio ma cittadino newyorkese dal 2003. Il trio ha al suo attivo un ep già recensito su questo blog, leggete la recensione qui, un live recording datato ottobre 2012 e questo cd di cui vado a occuparmi in questo post. Anche qui si viaggia ai confini tra suoni e rumori, una combinazione prediletta dal trio che ama esplorare le possibili relazioni tra i due elementi in un ambito assolutamente acustico. Suoni urbani che interferiscono con i bagliori estremi di strumenti acustici come la viola e il contrabbasso, intercettando o lasciandosi intercettare dai vagiti percussivi dell’italiano Costa. Suoni estremi, a volte ostinati come a sfidare la sensibilità e la tenacia di ogni possibile ascoltatore. Suoni stridenti che cercano un dialogo, un’attinenza tra di loro, che puntano a generare in molti casi un flusso continuo dove non alberga alcun tipo di armoniosità, mentre in altri momenti si naviga nelle acque stagnati di un minimalismo rarefatto. E’ evidente che tutto si svolge all’insegna dell’improvvisazione, di stimoli impulsivi, con nulla di preordinato ma nell’ambito di una dialettica in costante divenire. Un mondo sonoro affascinante e stimolante per ogni intraprendente ascoltatore, una espressività che guarda al futuro, un trio che ama le sfide e gli inediti orizzonti di un pentagramma inusuale stilato, di volta in volta, con lucida passione e libero arbitrio.


ascolta i sampler qui

domenica 23 febbraio 2014

A Round Goal

Keefe Jackson’s Likely So

Delmark


Il sassofonista, clarinettista, Keefe Jackson è tra gli esponenti più attivi dell’attuale scena creativa del jazz chicagoiano. Molte le sue collaborazioni oltre ai suoi album da leader di cui questo A Round Goal rappresenta la punta di diamante di una produzione sempre e comunque di alto livello. Per questa sua ultima il nostro travalica ogni possibile immaginazione e presenta un ensemble di soli fiati protagonista di una registrazione live datata febbraio 2013, in occasione del Jazzwerkstaff Festival di Berna in Svizzera. Un settetto che vede affiancati a Jackson i chicagoiani: Mars Williams ai sax alto, soprano e sopranino; Dave Rempis ai sax alto e baritono; il polacco: Warclaw Zimpel ai clarinetti; gli svizzeri: Mark Stucki sax tenore, clarinetto basso e harmonium; Peter A. Schmid ai sax baritono, basso e sopranino; Thomas K.J Mejer, contrabbasso e sax sopranino. Per loro undici composizioni originali firmate da Jackson, che uniscono composizione e improvvisazione, attraverso un linguaggio di forte impatto sonoro e sicuramente innovativo. Si inizia con le variegate interazioni di “Overture” ma è il solo di Jackson in “Bridge solo” a farci addentrare nell'ambient più propriamente predominante dell'intero lavoro. Un sound volutamente essenziale senza orpelli accattivanti ma genuinamente espressivo, proiettato nella ossessionante ricerca di una nuova prospettiva che rivaluti le proprietà armoniche di una ben precisa gamma di fiati. Un sound che si fa viscerale e vociante attraverso le note, strappate con forza passionale da Stucki, al suo sax, in “Was ist Kultur” dove in tal modo si contrappone ad un riff ostinato declamato con incessante continuità per tutta la durata del brano. E’ poi in “Pastorale” che il settetto svela il suo risvolto cameristico, non esente da una corposa porzione improvvisativa, che ne caratterizza l'essenza jazzistica, mentre in “There is no language without deceit” risalta il personale, intenso e intrigante contributo di Zimpel ai clarinetti. La conclusiva “Roses” rimarca e sintetizza in poco più di undici minuti, a partire dalla debordante intro del sax di Williams, tutta la consistenza inedita di quest’opera che si delinea come una sorta di componimento sinfonico contemporaneo per soli fiati, intriso di una spiccata componente improvvisativa propria della musica jazz più avanzata. Un cd che si colloca come un documento indispensabile per comprendere l'evoluzione del jazz contemporaneo. 


lunedì 3 febbraio 2014

Massive Threads

Kris Davis

Thirsty Ear


La pianista di origini canadesi Kris Davis é ormai una cittadina newyorkese perché da anni risiede in quella città, ma é anche una delle musiciste di primo piano della scena d'avanguardia di Brooklyn. Attivissima da anni ha al suo attivo numerose incisioni divise in vari ambiti e in questi giorni sta lavorando ad un progetto ambizioso con un ottetto per il quale ha scritto le musiche. Su questo progetto non so dirvi per il momento altro tranne che é stato commissionato alla Davis da parte della Shifting Foundation che non è nuova a queste sovvenzioni e che dell'ottetto fanno parte Ben Goldberg, Oscar Noriega, Andrew Bishop, Joachim Badenhorst ai fiati; Nate Radley alla chitarra, Gay Versace, organo e accordion, Jim Black alla batteria e naturalmente la stessa Davis al piano. Mentre attendo di ascoltare questo album, che sembra promettere grandi gesta, sono qui a raccontarvi di questo cd in piano solo che si colloca come la naturale continuazione ed evoluzione del precedente cd Aerol Piano inciso dalla nostra in solitudine. E’ ancora una volta, e questa volta ancor di più della precedente, una performance fortemente caratterizzato da un rapporto intimo tra la musicista e il suo pianoforte, quasi un dialogo sottovoce, che prelude e sottintende ad ogni esclamazione musicale. La Davis si avvale di qualche sovraincisione e di un pianoforte preparato ma questo aspetto è per certi versi secondario all'essenza esclusiva che viene fuori durata l'ascolto del cd. Si naviga ai confini tra scrittura improvvisazione, come ha precisato la stessa protagonista, tra una visione moderna di una concezione classica della musica e la creatività tipica del jazz d'avanguardia. Quelle accezioni avant, che avevo sottolineato quando mi trovai a recensire il suo precedente Aerol Piano per Il Giornale della Musica, qui risultano più accentuate, più spinte verso orizzonti inediti. Permane poi un grande senso del ritmo come è già evidente nell'iniziale “Ten Exorcists” ma anche di un ambient minimalista, di atmosfere rarefatte, appena spezzate, in qualche caso, da una fioca melodia come accade in “Desolation and Despair”. C’è anche un validissimo esempio di una traccia dalla struttura articolata che esordisce in sordina, si sviluppa in crescendo e si affievolisce nel finale e c’è anche una visionaria versione della “Evidence” di  Monk, unico episodio non originale. In poche parole c’è tutto quello che fa dire che questo è un grande album.


sabato 1 febbraio 2014

Bottervagl

Erb / Baker

Veto


Questa volta il sassofonista e clarinettista svizzero Christoph Erb è in duo con il pianista chicagoiano Jim Baker. I lettori di questo blog avranno imparato a conoscere Erb perché in questo ultimo mese di attività ho recensito ben due incisioni a nome del sassofonista europeo che incide a Chicago e poi pubblica i cd attraverso l’etichetta svizzera Veto-Records. Si tratta di Duope dove il nostro è in compagnia di Keefe Jackson, Fred Lonberg Holm e Tomaka Reid (leggete qui la recensione) e di Feel Beetrr (qui trovate la recensione) firmata dal Bererberg Trio che include oltre ad Erb, Josh Berman e il già citato Fred Lonberg Holm. Anche questa incisione con Baker è contraddistinta da una intensità di base che è sempre presente nell’espressività del musicista svizzero, che non risparmia energie per lanciarsi in un gioco debordante di fraseggi liberi qui contrappuntati ed evidenziati da un pianismo ricco di note in cascata, nell’ambito di un dialogo che non si interrompe in nessuna delle cinque composizioni contenute in questo cd. L’apertura come negli altri casi è fulminante, “Moty’l” è un gioco di fughe e ricorse, i due sembrano sfidarsi in un gioco improvvisativo senza tregua o pause. Il climax così nervoso però non permane per tutto l’ambito del cd perché già a partire dalla terza traccia “Kupu-Kupu” il dialogo si fa più sottile, a tratti più affievolito, con inaspettate parentesi anche lievemente liriche. Un dialogo che si trasmuta in qualcosa di più intimo e cameristico soprattutto quando Erb imbocca il clarinetto basso come in “Gwilwileth”. Anche in questo contesto lo svizzero evidenzia tutte le prerogative di musicista votato al libero incedere in una piattaforma jazzistica d’avanguardia.

Thumbscrew

Mary Halvorson, Michael Formanek & Tomas Fujiwara

Cuneiform


Se provo a ricordare quanti sono gli album in cui è stata presente nel 2013 la chitarrista Mary Halvorson cado inevitabilmente in una crisi di memoria che solito non mi è frequente. Questo perche la singolare chitarrista ha in questi anni rivelato una notevole vena prolifica in fatto di incisioni, sia in prima persona che in compartecipazione. Ed ecco che allora ripiego sul suo sito e scopro che nel 2013 la nostra è stata presente in undici album di cui tre in prima persona e ben otto come ospite. Il 2014 promette bene in tal senso, perché la Halvorson ha già attivo due realizzazioni di cui la prima Thumbscrew, fresca di stampa, è stata pubblicata appena dieci giorni fa, mentre la seconda Reverse Blue arriverà a breve. Thumbscrew è un progetto nuovo realizzato in trio con Michael Formanek al contrabbasso e Tomas Fujiwara alla batteria. Un progetto incentrato su uno stretto interplay fra i tre musicisti in costante empatia con un ambiente prettamente semiacustico, condizionato dagli sbalzi di umori della Halvorson che in qualche frangente ripropone i suoi fraseggi rockeggianti, salvo poi a ripiegare velocemente su timbriche e geometrie sottilmente bluegrass che in qualche occasione ricordano il recente Bill Frisell. Sono solo sparuti episodi perché per il resto dell’album si viaggia su dinamiche prettamente jazz, con larghi spazi per l’improvvisazione, che vedono la Halvorson non risparmiarsi in ampie sortine in cui la sua chitarra da veramente prova di essere uno strumento singolare e rivalutato, in ambient jazzistico, da questa musicista piombata improvvisamente, alcuni anni fa, sulla cena jazzistica contemporanea e subito entrata nella cerchia degli allievi del grande Braxton. Qui lei si avvale della grande esperienza e della riconosciuta maestria di Formanek, musicista fondamentale, sensibile, tecnicamente maestoso, capace di fare la differenza. Nell’ambito di questo progetto il contrabbassista si pone come cardine essenziale nella dialettica del trio, in perfetta sintonia con la ritmica percussiva di Fujiwara che anche in questo caso assolve a pieno al suo ruolo dando alla performance il giusto contributo che in questa occasione si mostra fluido e colorito proprio per dare luce alle sonorità acustiche del trio. Il tutto in nove composizioni originali scritte e pensate per questo progetto, una goduria per chi ama la sei corde della Halvorson.